Nel 2023, l’Italia ha esportato circa 800.000 tonnellate di rifiuti combustibili, pagando un prezzo alto sia in termini economici che ambientali. Mentre il resto d’Europa ne trae vantaggio, il nostro Paese fatica a chiudere il ciclo dei rifiuti.
Un flusso costoso verso l’Europa
Dagli inceneritori della Svezia ai cementifici di Bulgaria e Grecia, i rifiuti italiani continuano a viaggiare per il Vecchio Continente. Circa 800.000 tonnellate di scarti sono state spedite nel 2023 a impianti esteri, spesso a caro prezzo, per compensare la carenza di strutture di recupero energetico in Italia. Di queste, almeno 100.000 tonnellate sono finite nei cementifici, sostituendo combustibili fossili come carbone e pet coke.
Le normative europee e nazionali sul principio di prossimità, che impongono di trattare i rifiuti quanto più vicino possibile al luogo di produzione, restano lettera morta. Campania, Lazio e Sicilia si confermano le principali esportatrici, con costi elevati per la gestione del problema.
Le regioni leader delle esportazioni
- Campania: Con 310.000 tonnellate di rifiuti esportati, la regione è in testa. Le destinazioni principali sono inceneritori in Svezia, Germania, Austria e Paesi Bassi.
- Lazio: Ha inviato oltre 100.000 tonnellate, tra cui 28.000 tonnellate di indifferenziato spedite direttamente da Roma ad Amsterdam per sopperire alla chiusura della discarica di Albano Laziale, con un costo di 200 euro per tonnellata.
- Sicilia: Ha esportato 66.000 tonnellate, di cui oltre 56.000 solo verso la Danimarca, a un costo medio di 380 euro per tonnellata. La regione sta ora pianificando due nuovi impianti di recupero energetico a Palermo e Catania.
Cementifici esteri: una seconda vita per i nostri rifiuti
Oltre 100.000 tonnellate di combustibili solidi secondari (CSS) sono state utilizzate nei cementifici europei. A Cipro, il cementificio di Nicosia ha accolto 63.000 tonnellate di CSS italiani, mentre in Grecia e Bulgaria i forni hanno bruciato altre migliaia di tonnellate provenienti da Lazio e Puglia. Cementifici in Slovenia e Slovacchia, invece, hanno utilizzato rifiuti combustibili da Lombardia, Veneto e Friuli-Venezia Giulia.
Questi impianti beneficiano di una riduzione dei costi energetici grazie alla sostituzione dei combustibili fossili, una pratica consolidata in Europa. In Italia, però, il tasso di sostituzione del CSS si attesta al 25,5%, molto lontano dalla media europea del 57,6%.
Segnali di miglioramento, ma la strada è lunga
Il 2023 ha visto un aumento del 26% nell’utilizzo del CSS nei cementifici italiani, arrivando a 380.000 tonnellate. In particolare, il CSS-c, una versione di alta qualità del combustibile, ha registrato un incremento dell’87,57%, con oltre 119.000 tonnellate utilizzate.
Nonostante questi progressi, solo 13 dei 28 cementifici italiani a ciclo completo hanno utilizzato combustibili derivati da rifiuti, e appena 7 hanno acquistato CSS-c. Le difficoltà derivano da processi autorizzativi lunghi e dal mancato consenso sociale.
Obiettivi ambiziosi per il futuro
L’associazione Federbeton ha fissato obiettivi chiari: raggiungere un tasso di sostituzione del 47% entro il 2030 e dell’80% entro il 2050. L’utilizzo del CSS può ridurre significativamente le emissioni di CO2 grazie alla sua componente biogenica, contribuendo alla competitività del settore industriale e alla decarbonizzazione.
Il paradosso italiano
Mentre esportiamo rifiuti a caro prezzo, i cementifici esteri risparmiano sui combustibili fossili e producono energia con i nostri scarti. L’Italia paga per ciò che potrebbe valorizzare internamente, ostacolata da ritardi strutturali e inefficienze. Il tempo stringe, e con esso la necessità di colmare il divario con il resto d’Europa. Riusciremo a invertire questa tendenza o continueremo a pagare per un’opportunità che altri sanno già sfruttare?
Fonti
Rapporto ISPRA 2024